BIODIVERSITA’ AUTOCTONA AGRO-ALIMENTARE DELLA PROVINCIA DI PRATO

    Il modello di sviluppo agrozootecnico della seconda metà del ventesimo secolo, che ha avuto innegabili effetti positivi di natura economica e sociale e che ha consentito di soddisfare le esigenze di proteine animali nella nutrizione dell'uomo, ha determinato una sempre maggiore intensificazione produttiva, sorretta dalla politica dei prezzi garantiti dell'Unione Europea. 
    Alla fine del secolo scorso questo modello ha cominciato a manifestare i suoi limiti. Alcune emergenze zootecniche (Encefalopatia spongiforme bovina o BSE) e deprecabili episodi di contaminazione  hanno infatti destato allarme nell'opinione pubblica e sono stati messi sotto accusa alcuni sistemi produttivi zootecnici caratterizzati da elevato grado di intensivizzazione, analogamente a quanto è accaduto per i sistemi produttivi vegetali a causa di supposti effetti negativi sulla qualità e sulla genuinità dei prodotti agroalimentari, sulla conservazione del suolo, sullo stato di salute dell'ambiente e sulla biodiversità.
    Sotto la pressione dell'opinione pubblica da qualche anno si è registrato perciò un cambiamento nella politica agricola comunitaria che, dopo un periodo protezionistico, che aveva determinato eccedenze e spinto ad una crescente intensificazione colturale, favorisce oggi l'affermarsi di sistemi produttivi con ridotto impiego di mezzi tecnici, definiti ecocompatibili o sostenibili. Nel contempo dai consumatori, giustamente preoccupati per la loro salute, anche a seguito di eclatanti fatti di contaminazione di alimenti di origine animale, si è levata sempre più forte la richiesta di prodotti sicuri, inducendo l'U.E. a rivolgere grande attenzione a questo argomento e a dettare una normativa sulla sicurezza alimentare condensata nel cosiddetto Libro bianco, proposto dalla Commissione dell'Unione Europea.
    Si è quindi manifestata la necessità, in primo luogo, di rivedere criticamente i livelli di intensificazione, inserendo la sostenibilità tra i fattori di cui il processo produttivo deve tener conto, per instaurare un migliore rapporto fra Uomo e Natura e per realizzare un più corretto uso del territorio, facendo tesoro delle acquisizioni scientifiche e della nuova sensibilità nei riguardi delle relazioni  uomo-animale-ambiente; in secondo luogo di soddisfare le esigenze dei consumatori, che richiedono alimenti sani e di qualità, controllati e certificati durante tutte le tappe della filiera produttiva.
    In questo contesto emerge il ruolo che può svolgere il recupero e la valorizzazione delle risorse genetiche autoctone, per il contributo culturale ed economico che queste possono dare alla sostenibilità dei modelli di sviluppo ed alle produzioni di qualità  e per la rilevanza che la qualità e la sicurezza alimentare hanno e avranno ancora di più nelle produzioni animali del terzo millennio.
 

In Toscana esistono ancora, in alcuni casi a livello di reliquia, alcuni tipi genetici autoctoni dimenticati o scarsamente considerati sia  dal mondo della ricerca che da quello dell’imprenditoria, alcuni dei quali, sulla base di notizie storiche o di prime indagini scientifiche, appaiono promettenti e suscettibili di recupero e valorizzazione.

Da accurate ricerche bibliografiche e iconografiche inerenti il popolamento zootecnico che storicamente ha caratterizzato il territorio che attualmente costituisce la Provincia di Prato, emerge che in tempi storici fino al termine della II Guerra Mondiale, erano allevate popolazioni e/o varietà di animali domestici che numericamente classificabili, secondo il Regolamento Comunitario 2078/92, a rischio di estinzione o in stato di abbandono e vengono definiti Tipi Genetici Autoctoni dal ConSDABI, National Focal Point Italiano della F.A.O. per la tutela e valorizzazione della Biodiversità animale autoctona in produzione zootecnica.

 I tipi genetici autoctoni o naturalizzati,individuati  sono quindici, appartenenti a otto diverse specie.

 In particolare tra i Bovini: Calvana ; tra gli Ovini:  Pecora Garfagnina; tra i Caprini: Capra Garfagnina; tra i Suini:  Maiale macchiaiolo nero,   tra gli Equini:  Asino baio o bigio dell’appennino  tra i Galliformi:  Gallina nostrana fulva o perniciata,   Gallina mugellese; tra gli Anatidi l’Anatra muta nera e tra gli Insetti di interesse zootecnico l’Ape mellifera ligustica, varietà toscana.

   Tutti questi tipi genetici, anche solamente dal punto di vista storico e culturale, appaiono meritevoli di un recupero e, ove possibile, di valorizzazione. E’ però necessaria un’azione sinergica e immediata delle diverse istituzioni operanti sul territorio che, a partire dallo spirito della legge regionale sulla tutela delle risorse genetiche autoctone, possa arrestare la perdita di materiale genetico e fissi le basi per interventi di tutela e sviluppo.    È infatti evidente che una semplice azione di conservazione non sarebbe sufficiente a garantire il mantenimento della variabilità genetica; non si tratta di creare un “museo” nè tantomeno uno zoo per le popolazioni alla soglia dell’estinzione ma è necessario intraprendere azioni tendenti alla valorizzazione di questo materiale genetico, ovviamente tenendo conto del mutato contesto socio-economico e delle nuove tendenze del mercato.